I CAVALLOZARI DI PISA
e la badia di Carigi in Valdera


Famiglia di mercanti e banchieri pisani, i Cavallozari ebbero strette relazioni con la corte papale e i Gaetani, come si scrive di loro negli studi.
Anche una carta del 1340 li riguarda: è un lodo-arbitrato emanato da Manfredino del Massaio di San Michele in Borgo e da Giovanni di Francesco orefice di San Lorenzo in Chinzica incaricati della divisione di beni tra gli eredi del fu Mone Cavallozari di San Pietro in Cortevecchia.
Questi eredi erano lo zio Ceo di Mone da una parte e i nipoti Ceo minorenne e Lamberto infante, tutti e due figli ed eredi del fu Vanni del fu Mone della cappella di San Sisto.
Nonostante l’età, anch’essi erano titolari di diritti che, curati da Pupo notaio del fu Cello da Peccioli della cappella di San Frediano, erano stati messi sulla carta dalla Curia dei Pupilli, con atto rogato dal notaio Cipriano di Puccio da San Pietro il 18 dicembre 1338 e con un compromesso del 4 novembre 1339.
La faccenda d’altronde era delicata.
La pergamena del 1340 infatti si premurava di ricordare più volte gli adempimenti di legge e la notifica fatta dal nunzio a Ceo nella casa in Cortevecchia, tramite la proclamazione eseguita ad alta voce, come d’uso.
Quindi riportava l’elenco delle notevoli proprietà, tra le quali due appezzamenti erano esclusi dalla partizione: la terra pratata che don Piero Cavallozari “olim prior ecclesiae S. Sisti” comprò da Massario di Alica e la terra campia che Vanni acquistò da Giannetto da Peccioli, lavorata da un certo Bartolomeo.
Don Pietro era stato nominato priore di San Sisto nel 1299 con atto specialissimo di papa Bonifacio VIII Gaetani, in quanto di norma la collazione sarebbe spettata al comune di Pisa.
Nel 1340 forse era deceduto.
Il motivo dell’esclusione dei suoi beni però non è noto.


Gli altri immobili valevano assai di più, anche dal solo punto di vista familiare.
Si trovavano nella zona adiacente la moderna piazza dei Cavalieri e dovevano essere grandi e, comprese le pertinenze di orti e giardini, estesi tra le cappelle di San Sisto, di San Sebastiano e di San Pietro in Cortevecchia.
I loro confini sono indicati nella carta dai soliti due capi e due lati.
Da notare che comprendevano la fabbrica di famiglia per raffinare l’oro.
Questo l’elenco: – Un pezzo d terra con casa a due solai e mezzo e due archi con chiostro con nel mezzo un pozzo e con orto di aranci nella cappella di San Sebastiano “de Fabricis maioribus” [= delle officine più grandi], capo in via pubblica, capo in terra ortale di Neri del Vesco e nipoti, lato in terra e casa di ser Bonagiunta notaio da Vico, lato in terra di Ceo Cavallozari e nipoti.
L’altra parte divisa della casa aveva un solo arco.
– La “domus terrestris ubi raffinabatur aurum sicut manet murus de traverso aut si plus vel minus”.
Teneva un capo in terra ortale di Neri del Vesco e nipoti e gli altri termini in terra ortale e domus di Ceo e nipoti.
Confinante della seconda parte era ser Corrado notaio del fu Bernardino da Vico.
– Quindi c’era un orto che “venit versus” una capanna, – e, in direzione di Neri del Vesco, questa capanna che era divisa per traverso da un chiasso comune “sicut manent sepem et muri”.
Nell’altra parte divisa ospitava un porcile e “de retro” confinava con la casa del fu Simone da Tripallo.
– Un pezzo di terra con casa a tre solai e chiostro e sovita nella cappella di San Pietro in Cortevecchia con capo in via pubblica, l’altro capo nel chiasso comune “ubi est porcile” (quello di sopra), il lato nel chiasso e via comune dei Cavallozari “qua itur ad capannam”, l’altro lato nella terra e casa di Ristoro di Arezzo.
Qui abitava Ceo di Mone (lo zio).
– Un pezzo di terra con casa solariata a due solai e chiostro e pozzo e orto con frutti nella cappella di San Sisto con un capo in via pubblica, l’altro nella terra ortale di Neri del Vesco e nipoti, un lato in terra e casa degli eredi di Cecco pellicciaio e degli eredi di Piero da Parlascio e il secondo lato nella terra e casa con capanna di Ceo e nipoti.
Confinanti dell’altra parte divisa erano la corte di quelli di Ripafratta e una certa Tana.


Il manoscritto, con la sua grafia serrata, passa poi a elencare i beni di famiglia a Putignano che, riassumendo, erano un pezzo di terra con casa e con dietro un palazzo solariato, abitata da tale Lello del posto, e della terra nel luogo “Al Feo”.
Avevano come confinanti Betto orefice, Gaddo Bencioli, Fanuccio di Bonagiunta Stefani, gli eredi di Betto di Nico, Lemmo di Rosso e le terre del monastero di San Vito.
La terza parte delle proprietà Cavallozari invece si trovava in Valdera presso il Roglio (scritto “Rogghio”) di Peccioli, presso l’antica abbazia camaldolese dei SS. Ippolito e Cassiano di Carigi, sulla quale, è da dire, nel testo appare poco altro.

Una terza porzione delle proprietà invece si trovava in Valdera presso il Roglio (scritto “Rogghio”) di Peccioli, nelle vicinanze dell’antica abbazia camaldolese dei SS. Ippolito e Cassiano di Carigi, sulla quale, è da precisare, nel manoscritto appare poco altro.
– Si incomincia con tre di quattro parti di un pezzo di terra con casa solariata e terrestre con il chiostro in mezzo e con un portico non ancora edificato, ma da innalzare entro un anno, il quale era “versus Rogghium”.


– Si prosegue con la metà di altra terra presso la via del Roglio nel luogo detto alla Badia di Carigi, capo “in via iuxta Rogghium”, capo in via “de Serra”, lato nella terra di Giemini de Carbonaria.
Una metà oggetto della divisione era orientata verso Peccioli; l’altra verso Forcoli.
Non molto lontana aera anche della terra alberata detta alla via del Roglio e al Roglio, presso le proprietà di Matteo di Monte da Palaia.
Seguivano i beni nei luoghi Vicinaia (accanto alla “stratam de Peccioli”), Rio Ascinaio a Puntacchio, Ponticelli presso la “stratam” per Montefoscoli e Pruneta e Paletti ovvero Triboli.
Confinanti questa volta erano (in ordine sparso) Franceschino di Firenze, Puccino di Catignano, Guidone de Villa, Fetto de Villa, Andrea Gambacurta, ser Giovanni notaio, ser Netto notaio, la canonica di Nicosia, la propositura di Peccioli e la chiesa di San Lazzaro di Rivolta, che allora era presso un’ansa quasi a “U” dell’Era (da qui il nome), e oggi si chiama podere Fortuna.
Si trovavano alla fine le: – “Massaritie existentes apud abbathia supradictam a cCharigi”: una tina grande e una piccola, due botti grandi e due botti piccole, una cassetta, una “lecteria” (lettiera o intelaiatura del letto) e un “soppedaneo” (panchetto di legno per appoggiare i piedi), divisi anch’essi tra zio e nipoti Cavallozari.
La “tina” maggiore di barili 28 si trovava presso un certo Guardino di Cascina.

L’arbitrato-lodo di divisione fu dato e letto nella “sala curie ordinis maioris pisane civitatis ubi fiant consilia et provisiones” nella cappella di Sant’Ambrogio, presenti le due parti e Francesco Cavalca notaio del fu Guido della cappella di San Sebastiano e Guelfo di Gaddo della cappella di Sant’Iacopo degli Speronai.
Rogò il notaio ser Gerardo di Castellanselmo del fu Lamberto .

Paola Ircani Menichini, 9 aprile 2021.
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RICONOSCIMENTI


Le fotografie


– La chiesa di San Sisto dipinta da Giovanni Chiaramonti, 1920, collezione privata.

– Parte del’atto notarile del 1340.

– Ruderi dell’antico molino del Roglio (via Andrea di Mino), da Google Street View.

– Google Maps della zona compresa fra il fiume Era, a sinistra, e il Roglio, a destra (dove è il segnale).

– La chiesa di San Sisto di Pisa nel 1920 (Chiaramonti) e oggi (Wikipedia).